Ricorso proposto dalla Regione Veneto (C.F. 80007580279  -  P.IVA
02392630279), in persona del Presidente della Giunta Regionale  dott.
Luca Zaia  (C.F.  ZAILCU68C27C957O),  autorizzato  con  deliberazione
della Giunta regionale del Veneto n. 1774 del 7 novembre  2016  (all.
1), rappresentato e difeso, per mandato a margine del presente  atto,
tanto unitamente quanto disgiuntamente, dagli avv.ti Ezio Zanon (C.F.
ZNNZEI57L07B563K)  coordinatore  dall'Avvocatura  regionale  e  Luigi
Manzi (C.F. MNZLGU34E15H501V) del Foro di Roma, con domicilio  eletto
presso lo studio di quest'ultimo in Roma, via Confalonieri, n. 5 (per
eventuali   comunicazioni:   fax   06/3211370,   posta    elettronica
certificata luigimanzi@ordineavvocatiroma.org). 
    Contro il Presidente del  Consiglio  dei  ministri  pro  tempore,
rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello  Stato,  presso
la quale e' domiciliato ex lege in Roma, via dei  Portoghesi,  n.  12
per la dichiarazione di illegittimita'  costituzionale  dell'art.  4,
commi 2 e 9, art. 11, comma 3, art. 14, comma 5, art. 20, comma  7  e
art. 24, comma 5 del decreto legislativo  19  agosto  2016,  n.  175,
recante  «testo  unico  in  materia  di  societa'  a   partecipazione
pubblica», pubblicato nella Gazzetta Ufficiale, Serie generale n. 210
dell'8 settembre 2016 per violazione degli articoli  117,  III  e  IV
comma, 118 e 119, anche in relazione anche agli articoli 3, 5,  97  e
114 Cost., oltreche' del principio di  leale  collaborazione  di  cui
all'art. 120 Cost. 
 
                               Motivi 
 
1) Illegittimita' costituzionale dell'art. 4, commi 2 e 9 del decreto
legislativo 19 agosto 2016, n. 175,  per  violazione  degli  articoli
117, IV comma, 118 e 119 della Costituzione nonche' del principio  di
leale collaborazione di cui all'art. 120 Cost. 
    Il decreto legislativo 19 agosto 2016,  n.  175,  recante  «testo
unico in materia di  societa'  a  partecipazione  pubblica»,  intende
regolamentare   «la   costituzione   di   societa'   da   parte    di
amministrazioni pubbliche, nonche' l'acquisto, il mantenimento  e  la
gestione di partecipazioni  da  parte  di  tali  amministrazioni,  in
societa' a totale  o  parziale  partecipazione  pubblica,  diretta  o
indiretta» (art. 1 comma  1)  secondo  finalita'  di  efficientamento
della gestione delle partecipazioni pubbliche, di tutela e promozione
della concorrenza e  del  mercato,  nonche'  di  razionalizzazione  e
riduzione della spesa pubblica (art. l comma 2). 
    L'art. 4, in particolare,  al  primo  comma,  statuisce  che  «Le
amministrazioni pubbliche non possono, direttamente o indirettamente,
costituire societa' aventi per oggetto  attivita'  di  produzione  di
beni e servizi non strettamente necessarie per il perseguimento delle
proprie  finalita'   istituzionali,   ne'   acquisire   o   mantenere
partecipazioni,  anche  di  minoranza,  in   tali   societa'.»   Tale
disposizione riproduce il testo dell'art. 3, comma 27, della legge n.
244 del 2007, il quale,  secondo  l'insegnamento  di  codesta  ecc.ma
Corte, deve essere ricondotto nell'alveo della materia «tutela  della
conconenza», appartenente alla competenza legislativa esclusiva dello
Stato. 
    In particolare nella decisione n. 148/2009 e' stato rilevato  che
tale disposizione, essendo diretta «a rafforzare la  distinzione  tra
attivita' amministrativa in forma privalistica (posta  in  essere  da
societa' che operano per una pubblica amministrazione)  ed  attivita'
di  impresa  di  enti  pubblici,  dall'altro,  e   ad   evitare   che
quest'ultima possa essere svolta beneficiando dei privilegi dei quali
un soggetto puo' godere  in  quanto  pubblica  amministrazione»,  «va
ricondotta alla materia "tutela della concorrenza",  attribuita  alla
competenza legislativa esclusiva dello Stato (art 117, secondo comma,
lettera e), Cost.), anziche' alla materia dell'organizzazione  e  del
funzionamento della Regione, ai sensi dell'art.  117,  quarto  comma,
Cost.». 
    Secondo la giurisprudenza di codesta ece.ma  Corte,  infatti,  la
materia «tutela della concorrenza» «comprende le  misure  legislative
di tutela in senso proprio, che  hanno  ad  oggetto  gli  atti  ed  i
comportamenti delle imprese che incidono  negativamente  sull'assetto
concorrenziale  dei  mercati  e  ne  disciplinano  le  modalita'   di
controllo, eventualmente anche di sanzione e  quelle  di  promozione,
che  mirano  ad  aprire  un  mercato  o  a  consolidarne  l'apertura,
eliminando barriere all'entrata, riducendo o  eliminando  vincoli  al
libero   esplicarsi   della   capacita'   imprenditoriale   e   della
competizione tra imprese, in generale i  vincoli  alle  modalita'  di
esercizio delle attivita' economiche» (sentenze n. 63 del 2008  e  n.
430 del 2007). 
    Se ne deduce che disposizioni dirette  ad  evitare  che  soggetti
dotati di «privilegi» svolgano attivita' economica al  di  fuori  dei
casi nei quali cio' sia imprescindibile per  il  perseguimento  delle
finalita'  istituzionali  degli  stessi,  in  quanto  funzionali   ad
eliminare potenziali distorsioni dei mercati e nei limiti in cui esse
siano preordinate a scongiurare una commissione pregiudizievole della
concorrenza,   devono   ritenersi   afferenti   alla   tutela   della
concorrenza, e per tale ragione costituzionalmente legittime pur  ove
limitino le competenze regionali e, in particolare, la competenza  in
ordine all'organizzazione amministrativa regionale. Puntualizza, poi,
a tal riguardo codesta ecc.ma Corte che cio'  puo'  avvenire  purche'
dette finalita' siano  realizzate  con  modalita'  non  irragionevoli
(decisione n. 148/2009). 
    Invero  si  deve  rilevare,  incidentalmente,  che  le   predette
disposizioni concorrono  a  esprimere  e  delimitare  i  compiti  del
soggetto giuridico «amministrazione pubblica». 
    Questa, infatti, e' per sua essenza rivolta a svolgere la propria
azione al fine  esclusivo  di  perseguire  il  soddisfacimento  degli
interessi generali affidati alle sue cure. Ragion per  cui  prevedere
che  essa  possa  costituire  societa'  o  partecipare  in   societa'
unicamente ove l'oggetto sociale  di  queste  afferisca,  secondo  un
criterio di necessita', al  «perseguimento  delle  proprie  finalita'
istituzionali» appare conforme alle sue ragioni di essere. 
    La finalita' di lucro che  connota  ordinariamente  lo  strumento
societario e', infatti, di per  se'  discordante  con  l'agire  della
pubblica amministrazione, a meno  che  non  sia  depurata  dalle  sue
scorie «egoistiche» mediante la trasformazione del veicolo societario
in strumento univocamente diretto  al  soddisfacimento  del  pubblico
interesse. 
    Solo in tal modo ed entro tali  limiti  teleologici,  dunque,  e'
ammissibile che un soggetto  pubblico  agisca  utilizzando  la  veste
privatistica societaria. Il che consente al contempo di salvaguardare
il naturale dispiegarsi della concorrenza nei mercati. 
    Se, pero', la limitazione in ordine alle modalita' organizzatorie
di perseguimento delle proprie finalita' istituzionali introdotta dal
primo comma dell'art. 4 del decreto legislativo 19  agosto  2016,  n.
175 appare legittima, nel dettaglio riportato nel  comma  successivo,
si  oltrepassa  tale  finalita'   e   si   determina,   invece,   una
ingiustificata   quanto   illegittima   compressione   dell'autonomia
regionale. 
    Tale disposizione statuisce, infatti, che: «Nei limiti di cui  al
comma  1,  le  amministrazioni  pubbliche  possono,  direttamente   o
indirettamente,  costituire  societa'   e   acquisire   o   mantenere
partecipazioni in societa' esclusivamente per  lo  svolgimento  delle
attivita' sotto indicate: 
        a) produzione di  un  servizio  di  interesse  generale,  ivi
inclusa la realizzazione e la gestione delle reti  e  degli  impianti
funzionali ai servizi medesimi; 
        b) progettazione e realizzazione di un'opera  pubblica  sulla
base di un accordo di programma  fra  amministrazioni  pubbliche,  ai
sensi dell'art. 193 del decreto legislativo n. 50 del 2016; 
        c) realizzazione  e  gestione  di  un'opera  pubblica  ovvero
organizzazione  e  gestione  di  un  servizio  d'interesse   generale
attraverso un contratto di  partenariato  di  cui  all'art.  180  del
decreto legislativo n. 50 del 2016, con un  imprenditore  selezionato
con le modalita' di cui all'art. 17, commi 1 e 2; 
        d) autoproduzione di beni o servizi  strumentali  all'ente  o
agli  enti  pubblici  partecipanti,  nel  rispetto  delle  condizioni
stabilite dalle direttive europee in materia di contratti pubblici  e
della relativa disciplina nazionale di recepimento; 
        e) servizi  di  committenza,  ivi  incluse  le  attivita'  di
committenza ausiliarie, apprestati a supporto di enti senza scopo  di
lucro e di amministrazioni aggiudicatrici di cui all'art. 3, comma 1,
lettera a), del decreto legislativo n. 50 del 2016». 
    Per  effetto  di  tale  disposizione   il   vincolo   teleologico
legittimamente  fissato  dal  primo   comma   assume   un   contenuto
sostanziale che circoscrive entro limiti  invalicabili  le  modalita'
con cui gli enti  destinatari  della  norma  possano  perseguire  gli
interessi  pubblici  affidati  alle   proprie   cure.   L'elencazione
perentoria  delle  tipologie  delle  attivita'  di  scopo  consentite
mediante   l'impiego   dello   strumento   societario   preclude   la
possibilita' per le Regioni di utilizzare  il  modulo  societario  al
fine dello svolgimento esternalizzato di altri compiti che non  siano
la produzione di servizi di interesse generale,  la  committenza,  la
progettazione   per   la   realizzazione   di   opere   pubbliche   o
l'autoproduzione  di  beni  e   servizi   strumentali   all'ente,   a
prescindere dalla ricaduta che tali attivita' residue  possano  avere
sui mercati e sulla concorrenza. 
    Questa impostazione, a numero  chiuso,  esclude  dal  ricorso  al
modulo societario tutte le possibilita' attivita' residue  che  fanno
parte delle funzioni tipiche di ogni pubblica amministrazione. 
    Cosi', ad esempio, sono escluse dall'organizzazione attraverso il
modulo societario l'esternalizzazione di funzioni amministrative o le
societa'  di  scopo,  costituite  per  lo  svolgimento  di  attivita'
pluristrutturate in  relazione  a  peculiari  eventi  che  non  siano
realizzabili  in  via  ordinaria  (Expo;  organizzazione  di   eventi
sportivi di rilievo internazionale etc.....) 
    Appare,  percio',  irragionevole  e   lesivo   della   competenza
riservata alle  Regioni  in  ordine  «al  come  organizzarsi  per  lo
svolgimento dei servizi strumentali al  perseguimento  delle  proprie
finalita'  istituzionali»   (decisione   n.   144/2016)   restringere
l'utilizzo dello strumento societario esclusivamente alle ipotesi  di
cui al comma 2 dell'art.  4  del  decreto  legislativo  n.  175/2016,
essendo in tal modo ingiustificatamente precluso alla amministrazione
regionale la facolta' di organizzare  in  modo  ottimale  le  proprie
funzioni, pur laddove lo strumento  privatistico  ne  consentisse  il
piu' proficuo esercizio. Il che  importa  violazione  dell'art.  117,
comma IV e dell'art. 118 Cost., in assenza  di  qualsivoglia  ragione
che giustifichi una tale  restrizione  dell'autonomia  regionale  per
fini di tutela della concorrenza. 
    D'altronde, il secondo comma dell'art. 4 e quelli successivi, che
dovrebbero attuare il principio cardine di cui al comma  1,  derogano
invero allo stesso, prevedendo numerose  e  variegate  eccezioni  che
invece di rafforzarne il contenuto precettivo, sembrano svuotarlo. 
    A riprova della incongruita'  del  regime  previsto  dal  secondo
comma rispetto alla previsione del comma primo, e dell'assenza di  un
rapporto di derivazione tra gli stessi, va anche ricordato il comma 9
dell'art. 4, a norma  del  quale  «Con  decreto  del  Presidente  del
Consiglio dei ministri, su  proposta  del  Ministro  dell'economia  e
delle  finanze  o   dell'organo   di   vertice   dell'amministrazione
partecipante, motivato con riferimento alla misura e  qualita'  della
partecipazione pubblica, agli interessi pubblici a essa connessi e al
tipo di attivita' svolta, riconducibile  alle  finalita'  di  cui  al
comma 1, anche al fine di agevolarne la quotazione ai sensi dell'art.
18,  puo'  essere   deliberata   l'esclusione   totale   o   parziale
dell'applicazione delle disposizioni del presente articolo a  singole
societa' a partecipazione pubblica.  Il  decreto  e'  trasmesso  alle
Camere ai fini  della  comunicazione  alle  commissioni  parlamentari
competenti». 
    Detta norma, infatti, attribuisce al Presidente del Consiglio dei
ministri il potere di derogare  ai  limiti  posti  dall'art.  4,  nel
rispetto pero' del vincolo posto dal primo comma, ossia del  fine  di
perseguimento delle  finalita'  istituzionali  delle  amministrazioni
pubbliche. Se ne deduce allora che esistono ipotesi di utilizzo delle
strumento societario nel  perseguimento  di  finalita'  di  interesse
generale, oltre la specifica casistica definita dal secondo  comma  e
da quelli successivi. 
    Percio' la disposizione di cui al secondo comma  dell'art.  4  si
risolve nella sostanza in un limite esterno imposto alla capacita' di
agire  delle  Regioni  e  in  una  illegittima   compressione   della
competenza  costituzionalmente  loro  riconosciuta  e  che   ha   per
contenuto l'organizzazione delle modalita'  con  cui  soddisfare  gli
interessi pubblici affidati alle loro  cure,  senza  che  si  possano
rinvenire quelle ragioni  di  tutela  della  concorrenza  che  invece
fondano e giustificano la  previsione  di  cui  al  primo  comma  del
medesimo art. 4. 
    Risultano, dunque, violati l'art. 117, comma IV e 118 Cost. e pur
anche l'art. 119 Cost. nella misura in cui impedire alle  Regioni  di
autodeterminarsi  in  ordine  alla  propria  organizzazione  ed  alle
modalita' di esercizio dei propri poteri incide sulla possibilita' di
decidere liberamente in ordine alla gestione delle  entrate  e  delle
spese da impiegare per il soddisfacimento  dei  molteplici  interessi
pubblici sottesi alle finalita' istituzionali perseguite. 
    Va, poi, rilevato che la disposizione di cui al comma 9 dell'art.
4 e' affetta da un ulteriore profilo di illegittimita', in quanto  la
possibilita' di costituire societa' da parte delle Regioni in  deroga
alle  previsioni  di  cui  all'art.  4,  comma   2,   e'   sottoposta
all'autorizzazione  di  un   soggetto   estraneo   all'organizzazione
regionale, al quale e' conferita  una  potesta'  connotata  da  ampia
discrezionalita'       politico       amministrativa        incidente
sull'organizzazione interna delle Regioni. 
    Situazione che riproduce,  da  questo  punto  di  vista,  sia  le
violazioni  delle  predette  norme,  sia  del  principio   di   leale
collaborazione previsto dall'art. 120 Cost. 
    La disposizione di cui al comma 9, infatti,  non  prevede  alcuna
forma di intervento  partecipativo  delle  autonomie  territoriali  e
locali  pur  laddove  esse  siano  interessate  in   relazione   alla
costituzione di societa'  regionali  ovvero  alla  partecipazione  in
societa' ultraregionali e statali, in deroga al regime ordinario. 
2) Illegittimita' costituzionale dell'art. 11, comma  3  del  decreto
legislativo 19 agosto 2016, n. 175,  per  violazione  degli  articoli
117, III e IV comma e 118 della Costituzione, nonche'  del  principio
di leale collaborazione di cui all'art. 120 Cost. 
    L'art. 11, comma 3 del decreto legislativo 19 agosto 2016, n. 175
statuisce  che:  «Con  decreto  del  Presidente  del  Consiglio   dei
ministri, su  proposta  del  Ministro  dell'economia  e  finanze,  di
concerto con  il  Ministro  delegato  per  la  semplificazione  e  la
pubblica amministrazione, adottato  entro  sei  mesi  dalla  data  di
entrata in vigore del presente decreto, sono definiti  i  criteri  in
base ai quali, per specifiche ragioni di  adeguatezza  organizzativa,
l'assemblea della societa' a controllo pubblico puo' disporre che  la
societa' sia amministrata da un consiglio di amministrazione composto
da tre o cinque membri, ovvero  che  sia  adottato  uno  dei  sistemi
alternativi di amministrazione e controllo previsti dai paragrafi 5 e
6 della sezione VI-bis del capo V del titolo V del libro V del codice
civile. In caso di adozione del sistema dualistico, al  consiglio  di
sorveglianza sono attribuiti i poteri di cui all'art. 2409-terdecies,
primo comma, lettera f-bis), del codice civile. Nel caso in  cui  sia
adottato uno dei  sistemi  alternativi,  il  numero  complessivo  dei
componenti degli organi  di  amministrazione  e  controllo  non  puo'
essere superiore a cinque». 
    Tale disposizione attribuisce alla Presidenza del  Consiglio  dei
ministri la potesta' di stabilire, con atto meramente  regolamentare,
criteri afferenti alla concreta modalita' di gestione delle compagini
societarie partecipate da soggetti pubblici. Ossia non  si  introduce
una disciplina diretta a regolamentare  il  regime  societario  delle
societa' partecipate, ma invece si condiziona la  modalita'  concreta
con cui la societa' partecipata andra' ad essere amministrata secondo
il volere dei soci. 
    La disposizione solo in  apparenza  puo'  essere  sussunta  nella
materia «ordinamento civile» di  competenza  esclusiva  dello  Stato,
afferendo invece alla materia organizzazione  e  funzionamento  della
Regione, riguardando infatti le modalita' con  cui  la  Regione  puo'
agire  nel  perseguimento  dei  propri  fini  istituzionali  mediante
l'utilizzo di un veicolo societario entro i limiti fissati dal codice
civile e dalle leggi speciali. 
    Questo comporta una significativa incidenza sull'autonomia  delle
Regioni che avrebbe imposto quanto meno la  previsione  di  forme  di
coordinamento partecipativo sotto specie di  intesa  da  parte  della
Conferenza Stato-Regioni. 
    Ne  consegue  che  la  disposizione  in  parola  risulta   lesiva
dell'art. 117, IV comma e 118 Cost. Cosi' come del principio di leale
collaborazione di cui all'art. 120 Cost.  nella  misura  in  cui  non
prevede nessuna forma di partecipazione collaborativa da parte  delle
Regioni, eventualmente nell'ambito delle conferenze intergovemative. 
    Peraltro,  tale  disposizione,  pur  ove  volesse  essere   fatta
rientrare  nell'alveo  della  materia  «coordinamento  della  finanza
pubblica»,   in   quanto   avente   finalita'    di    risparmio    e
razionalizzazione della spesa, nondimeno  sarebbe  costituzionalmente
illegittima in ragione del suo contenuto puntuale e  vincolante,  con
conseguente  violazione  dell'art.  117,  comma  III  Cost.  Nonche',
risulterebbe  comunque  violato   anche   il   principio   di   leale
collaborazione di cui all'art. 120  Cost.  non  essendo  prevista  la
partecipazione   al   procedimento    decisorio    delle    autonomie
territoriali. 
    3) Illegittimita' costituzionale dell'art 14, comma 5 del decreto
legislativo 19 agosto 2016, n. 175,  per  violazione  degli  articoli
117, 118 e 119 della Costituzione, nonche'  del  principio  di  leale
collaborazione di cui all'art. 120 Cost. 
    L'art. 14, comma 5, del decreto legislativo 19  agosto  2016,  n.
175,  rubricato  «Crisi  d'impresa  di  societa'   a   partecipazione
pubblica», statuisce che: «Le  amministrazioni  di  cui  all'art.  1,
comma 3, della legge 31 dicembre 2009, n.  196,  non  possono,  salvo
quanto previsto dagli articoli 2447 e  2482-ter  del  codice  civile,
effettuare aumenti di capitale, trasferimenti straordinari,  aperture
di  credito,  ne'  rilasciare  garanzie  a  favore   delle   societa'
partecipate, con esclusione delle societa' quotate e  degli  istituti
di credito, che abbiano registrato,  per  tre  esercizi  consecutivi,
perdite  di  esercizio  ovvero   che   abbiano   utilizzato   riserve
disponibili per il ripianamento di perdite anche infrannuali. Sono in
ogni caso consentiti i trasferimenti straordinari  alle  societa'  di
cui al primo periodo, a fronte di convenzioni, contratti di  servizio
o di programma relativi  allo  svolgimento  di  servizi  di  pubblico
interesse ovvero  alla  realizzazione  di  investimenti,  purche'  le
misure  indicate  siano  contemplate  in  un  piano  di  risanamento,
approvato dall'Autorita' di regolazione di settore  ove  esistente  e
comunicato alla Corte dei conti con le modalita' di cui  all'art.  5,
che contempli il raggiungimento dell'equilibrio finanziario entro tre
anni. Al fine di salvaguardare la continuita'  nella  prestazione  di
servizi di pubblico interesse, a fronte  di  gravi  pericoli  per  la
sicurezza pubblica, l'ordine pubblico  e  la  sanita',  su  richiesta
della amministrazione interessata, con  decreto  del  Presidente  del
Consiglio  dei  ministri,   adottato   su   proposta   del   Ministro
dell'economia e delle finanze, di concerto  con  gli  altri  Ministri
competenti e soggetto a registrazione della Corte dei conti,  possono
essere autorizzati  gli  interventi  di  cui  al  primo  periodo  del
presente comma.». 
    Tale disposizione pone un divieto gestori dal contenuto  ampio  e
invasivo, impedendo di effettuare operazioni di aumento del  capitale
sociale, di trasferimenti straordinari, di apertura di credito  o  di
concessione di garanzie a favore delle societa' partecipate, nel caso
in cui siano state registrate, per tre esercizi consecutivi,  perdite
di esercizio (senza peraltro parametrare il divieto all'entita' della
perdita) ovvero siano state utilizzate  riserve  disponibili  per  il
ripianamento di perdite anche infrannuali  (operazione  contabile  di
comune impiego nell'ambito societario). 
    In tal modo, pero', si creano vincoli alla gestione  della  crisi
di impresa e si preclude al socio pubblico di esercitare  quelle  che
sono normali operazioni rivolte al corretto e proficuo  funzionamento
dello  strumento  societario,  determinando  in   primo   luogo   una
situazione gravemente sperequata tra  soggetti  pubblici  e  soggetti
privati detentori di partecipazioni societarie, senza che si  pongano
ragioni di tutela della concorrenza o di economia di spesa pubblica. 
    Le operazioni sopra enumerate, infatti, sono di per se'  neutrali
e possono essere motivate da necessita' gestorie ineludibili  dirette
a  realizzare  il  miglior  soddisfacimento  dell'interesse  pubblico
mediante il prescelto strumento societario. 
    Privare il socio pubblico di tale possibilita'  in  via  generale
rappresenta una irragionevole  discriminazione,  laddove  una  misura
adeguata a salvaguardare l'autonomia gestionale del socio pubblico in
uno  con  l'interesse  a  una  razionale  gestione  amministrativa  e
finanziaria delle partecipate sarebbe stato il prevedere un  adeguato
e puntuale onere motivazionale. 
    D'altronde, se rispetto alle  societa'  partecipate  dallo  Stato
tale disposizione potrebbe ritenersi legittima, con  riguardo  invece
alle partecipazioni  regionali,  non  appare  dubbio  che  essa,  non
inerendo ne' alla materia ordinamento civile ne' alla materia  tutela
della concorrenza, essa limiti illegittimamente l'autonomia regionale
a determinarsi liberamente in  ordine  alla  gestione  delle  proprie
partecipazioni societarie  con  conseguente  lesione  dell'art.  117,
comma 4, cui inerisce la materia  organizzazione  regionale  e  degli
art. 118 e 119  Cost.  Riverberandosi  in  relazione  a  quest'ultimo
articolo in una compressione della  autonomia  finanziaria  regionale
nella discrezionale gestione delle proprie risorse. 
    Se, invece, la ragione posta  a  fondamento  di  tale  previsione
constasse nel timore che il socio pubblico possa  «sovvenzionare»  le
proprie  partecipate  al  di  la'  della  logica  della   convenienza
economico-finanziaria dell'operazione, cio' invero  e'  precluso,  in
primo luogo, dal vincolo teleologico del perseguimento delle  proprie
finalita' istituzionali che  presiede  ogni  scelta  pubblica  e,  in
seconda  istanza,  dai  vincoli  comunitari  che   impediscono   alle
pubbliche  amministrazione  il  compimento  di  operazioni   che   si
sostanzino in aiuto di  Stato  o  che  siano  comunque  lesive  della
concorrenza. Il cui libero dispiegarsi e', dunque, gia' adeguatamente
presidiato e non  richiede  la  introduzione  di  una  misura  lesiva
dell'autonomia regionale. 
    Ne  consegue   che   l'art.   14,   comma   5,   deve   ritenersi
costituzionalmente   illegittimo   laddove   applica    anche    alle
partecipazioni regionali un regime di divieti lesivo della  autonomia
gestoria, amministrativa e finanziaria  delle  Regioni  di  cui  agli
articoli 117, 118 e 119 Cost. 
    Risulta parimenti costituzionalmente illegittimo  la  riserva  in
capo al  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri  di  una  potesta'
derogatoria al regime di  limiti  sopra  enucleati,  pur  laddove  si
tratti di partecipazioni regionali,  senza  che  sia  prevista  forma
alcuna di coordinamento/concertazione con le autonomie  territoriali.
Il che importa violazione del principio di  leale  collaborazione  di
cui all'art. 120 Cost. 
4) Illegittimita' costituzionale dell'art. 20, comma  7  del  decreto
legislativo 19 agosto 2016, n. 175, per violazione degli articoli, 3,
5, 97, 114, 117, IV comma, 118 e 119 della Costituzione. 
    L'art. 20  del  decreto  legislativo  19  agosto  2016,  n.  175,
rubricato   «Razionalizzazione   periodica    delle    partecipazioni
pubbliche», dispone che: «Fermo quanto previsto dall'art.  24,  comma
1, le amministrazioni pubbliche effettuano annualmente,  con  proprio
provvedimento, un'analisi dell'assetto complessivo delle societa'  in
cui detengono partecipazioni, dirette o indirette, predisponendo, ove
ricorrano i presupposti di cui al comma 2, un piano di riassetto  per
la loro razionalizzazione, fusione  o  soppressione,  anche  mediante
messa  in  liquidazione  o  cessione.  Fatto  salvo  quanto  previsto
dall'art. 17, comma 4, del  decreto-legge  24  giugno  2014,  n.  90,
convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014, n. 114, le
amministrazioni che non detengono alcuna partecipazione lo comunicano
alla sezione della Corte dei conti competente ai sensi  dell'art.  5,
comma 4, e alla struttura di cui all'art. 15. 
    I piani di razionalizzazione, corredati di un'apposita  relazione
tecnica,  con  specifica  indicazione  di  modalita'   e   tempi   di
attuazione, sono adottati ove, in sede di analisi di cui al comma  1,
le amministrazioni pubbliche rilevino: 
        a) partecipazioni societarie  che  non  rientrino  in  alcuna
delle categorie di cui all'art. 4; 
        b) societa' che risultino prive di dipendenti  o  abbiano  un
numero di amministratori superiore a quello dei dipendenti; 
        c) partecipazioni in societa' che svolgono attivita' analoghe
o similari a quelle svolte da altre societa' partecipate  o  da  enti
pubblici strumentali; 
        d) partecipazioni in societa' che, nel  triennio  precedente,
abbiano conseguito un fatturato medio non superiore a un  milione  di
euro; 
        e) partecipazioni in societa' diverse  da  quelle  costituite
per la gestione di  un  servizio  d'interesse  generale  che  abbiano
prodotto un  risultato  negativo  per  quattro  dei  cinque  esercizi
precedenti; 
        f) necessita' di contenimento dei costi di funzionamento; 
        g) necessita' di aggregazione di societa' aventi  ad  oggetto
le attivita' consentite all'art. 4. 
    I provvedimenti di cui ai commi 1 e 2 sono adottati entro  il  31
dicembre di ogni anno e  sono  trasmessi  con  le  modalita'  di  cui
all'art. 17  del  decreto-legge  n.  90  del  2014,  convertito,  con
modificazioni, dalla legge di conversione 11 agosto 2014,  n.  114  e
rese disponibili alla struttura di cui all'art. 15 e alla sezione  di
controllo della Corte dei conti  competente  ai  sensi  dell'art.  5,
comma 4. 
    In caso di adozione del piano di razionalizzazione, entro  il  31
dicembre dell'anno successivo le pubbliche amministrazioni  approvano
una relazione sull'attuazione del  piano,  evidenziando  i  risultati
conseguiti, e la trasmettono alla struttura di cui all'art. 15 e alla
sezione di controllo  della  Corte  dei  conti  competente  ai  sensi
dell'art. 5, comma 4. 
    I piani di riassetto possono prevedere  anche  la  dismissione  o
l'assegnazione  in   virtu'   di   operazioni   straordinarie   delle
partecipazioni societarie acquistate anche  per  espressa  previsione
normativa. I relativi  atti  di  scioglimento  delle  societa'  o  di
alienazione delle partecipazioni  sociali  sono  disciplinati,  salvo
quanto diversamente disposto nel presente decreto, dalle disposizioni
del codice civile e sono compiuti anche  in  deroga  alla  previsione
normativa originaria riguardante la  costituzione  della  societa'  o
l'acquisto della partecipazione. 
    Resta ferma la disposizione dell'art.  1,  comma  568-bis,  della
legge 27 dicembre 2013, n. 147. 
    La mancata adozione degli atti di cui ai commi da 1 a 4  comporta
la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da un minimo di
euro 5.000 a un massimo di euro 500.000, salvo il danno eventualmente
rilevato in sede  di  giudizio  amministrativo  contabile,  comminata
dalla competente sezione giurisdizionale regionale  della  Corte  dei
conti. Si applica l'art. 24, commi 5, 6, 7, 8 e 9. 
    Resta fermo  quanto  previsto  dall'art.  29,  comma  1-ter,  del
decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98,  convertito,  con  modificazioni,
dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, e dall'art. 1,  commi  da  611  a
616, della legge 23 dicembre 2014, n. 190. 
    Entro un anno dalla data  di'  entrata  in  vigore  del  presente
decreto,  il  conservatore  del  registro  delle   imprese   cancella
d'ufficio dal  registro  delle  imprese,  con  gli  effetti  previsti
dall'art. 2495 del codice civile, le societa'  a  controllo  pubblico
che, per oltre  tre  anni  consecutivi,  non  abbiano  depositato  il
bilancio d'esercizio ovvero non abbiano compiuto  atti  di  gestione.
Prima di  procedere  alla  cancellazione,  il  conservatore  comunica
l'avvio del procedimento agli amministratori o  ai  liquidatori,  che
possono, entro 60 giorni, presentare formale e  motivata  domanda  di
prosecuzione dell'attivita', corredata dell'atto  deliberativo  delle
amministrazioni  pubbliche  socie,  adottata  nelle  forme  e  con  i
contenuti previsti dall'art. 5. In  caso  di  regolare  presentazione
della domanda, non si da' seguito al procedimento  di  cancellazione.
Unioncamere presenta, entro due anni dalla data di entrata in  vigore
del  presente  decreto,  alla  struttura  di  cui  all'art.  15,  una
dettagliata  relazione  sullo  stato  di  attuazione  della  presente
norma.» 
    Tale disposizione, a mente della giurisprudenza di codesta ecc.ma
Corte  (decisione  n.  144/2016),  in  quanto  diretta  a  perseguire
finalita' di tutela della concorrenza, scopi di risparmio  di  spesa,
salvaguardia del buon andamento del pubblico agire e di disciplina in
materia di  ordinamento  civile,  esprime  un  legittimo  intento  di
razionalizzazione delle partecipazioni pubbliche. 
    Cio'   che   invece   trasmoda   tali   finalita'   e    comprime
illegittimamente l'autonomia regionale e' la previsione del comma  7,
che prevede un regime sanzionatorio in caso di mancata adozione degli
atti di cui  ai  commi  da  1  a  4,  operante  non  solo  a  livello
pecuniario, ma anche, per effetto del rinvio all'art. 24, commi 5, 6,
7, 8 e 9, in termini di divieto ad esercitare i diritti  sociali  cui
accede   un   procedimento   di   liquidazione   in   denaro    della
partecipazione. 
    In pratica,  ove  la  Regione  ometta  l'adozione  del  piano  di
razionalizzazione si dovrebbe ritenere che la stessa non  possa  piu'
esercitare i  propri  diritti  sociali  e  debba  vedere  la  propria
partecipazione societaria liquidata con riguardo a tutte le  societa'
partecipate, non essendo possibile rinvenire nel  testo  della  legge
alcun  criterio  selettivo  atto  a  circoscrivere  l'oggetto   della
sanzione.  Il  che  appare  abnorme  e   irragionevole,   in   quanto
costituisce un atto espropriativo sia della potesta'  dominicale  sia
del connesso interesse alla tutela patrimoniale della  partecipazione
societaria.  E  contraddice  il  canone  di   proporzionalita',   con
conseguenze violazione degli articoli 3 e 97 Cost. violazione che  si
riverbera in una lesione dell'autonomia in materia di  organizzazione
regionale ed esercizio delle proprie funzioni di  cui  agli  articoli
117, comma IV e 118 Cost. nonche' dell'art. 119 Cost. 
    Peraltro  tale  regime  sanzionatorio  contraddice   il   disegno
istituzionale della Repubblica italiana che attribuisce pari dignita'
a tutte le compagini territoriali che  la  costituiscono.  Di  fronte
all'inerzia regionale, e' legittimo prevedere un regime  sostitutivo,
non certo un regime sanzionatorio afflittivo  in  grado  di  produrre
effetti alla fine pregiudizievoli degli interessi dei cittadini e  in
contraddizione con il buon andamento dell'agire pubblico. Si  ritiene
percio'  che  la  disposizione   impugnata   sia   costituzionalmente
illegittima anche per violazione degli articoli 117, 118, 119 e  5  e
114 Cost., in uno con gli articoli 3 e 97, a cagione degli effetti di
irragionevole detrimento degli interessi pubblici e dei cittadini. 
5) Illegittimita' costituzionale dell'art 24,  comma  5  del  decreto
legislativo 19 agosto 2016, n. 175, per violazione degli articoli, 3,
5, 97, 114, 117, IV comma, 118 e 119 della Costituzione. 
    L'art. 24  del  decreto  legislativo  19  agosto  2016,  n.  175,
rubricato «Revisione straordinaria  delle  partecipazioni»  statuisce
che: «Le  partecipazioni  detenute,  direttamente  o  indirettamente,
dalle amministrazioni pubbliche alla data di entrata  in  vigore  del
presente decreto  in  societa'  non  riconducibili  ad  alcuna  delle
categorie di cui  all'art.  4,  commi  1,  2  e  3,  ovvero  che  non
soddisfano i requisiti di cui all'art. 5, commi 1 e 2, o che ricadono
in una delle ipotesi di cui all'art. 20, comma  2,  sono  alienate  o
sono oggetto delle misure di cui all'art. 20, commi  1  e  2.  A  tal
fine, entro sei mesi dalla data di entrata  in  vigore  del  presente
decreto, ciascuna amministrazione pubblica effettua con provvedimento
motivato la ricognizione di tutte le  partecipazioni  possedute  alla
medesima data di entrata in vigore del presente decreto, individuando
quelle che devono essere alienate. L'esito della ricognizione,  anche
in caso negativo, e' comunicato con le modalita' di cui  all'art.  17
del decreto-legge n. 90  del  2014,  convertito,  con  modificazioni,
dalla legge 11  agosto  2014,  n.  114.  Le  informazioni  sono  rese
disponibili alla sezione della Corte dei conti  competente  ai  sensi
dell'art. 5, comma 4, e alla struttura di cui all'art. 15. 
    Per le amministrazioni di cui all'art. 1, comma 611, della  legge
23 dicembre 2014,  n.  190,  il  provvedimento  di  cui  al  comma  1
costituisce aggiornamento del piano  operativo  di  razionalizzazione
adottato ai sensi del comma 612 dello stesso articolo, fermi restando
i termini ivi previsti. Il provvedimento di ricognizione  e'  inviato
alla sezione della Corte dei conti competente ai sensi  dell'art.  5,
comma 4, nonche' alla struttura di cui all'art. 15, perche' verifichi
il puntuale adempimento degli obblighi di cui al presente articolo. 
    L'alienazione, da effettuare ai sensi dell'art. 10, avviene entro
un anno dalla conclusione della ricognizione di cui al comma 1. 
    In caso di  mancata  adozione  dell'atto  ricognitivo  ovvero  di
mancata alienazione entro i termini previsti dal comma  4,  il  socio
pubblico non puo' esercitare i diritti sociali  nei  confronti  della
societa'  e,  salvo  in  ogni  caso  il   potere   di   alienare   la
partecipazione, la medesima e' liquidata in denaro in base ai criteri
stabiliti  all'art.  2437-ter,   secondo   comma,   e   seguendo   il
procedimento di cui all'art. 2437-quater del codice civile». 
    La diposizione del quinto comma prevede, per il  caso  di  omessa
adozione dell'atto di ricognizione straordinaria delle partecipazioni
societarie, la sanzione del divieto di esercizio dei diritti  sociali
e l'automatica messa in liquidazione della partecipazione societaria. 
    Tale  sanzione  appare,  nel  suo  contenuto  disciplinatorio   e
afflittivo, irragionevole e sproporzionata. Irragionevole, in quanto,
in caso di mancata adozione dell'atto ricognitivo, non e' dato capire
come potrebbero essere individuate le societa'  rispetto  alle  quali
debba operare il divieto  di  esercizio  dei  diritti  sociali  e  la
conseguente liquidazione della partecipazione. Ne' si  puo'  superare
tale difficolta', ritenendo in via di interpretazione che la sanzione
debba estendersi a tutte le  societa'  partecipate,  il  che  infatti
rafforzerebbe e non eliderebbe l'irragionevolezza della norma. 
    Sproporzionata in  quanto,  alla  mancata  adozione  di  un  atto
meramente ricognitivo, si fanno  derivare  conseguenze  incidenti  in
senso limitativo sulla capacita' di agire del socio pubblico, il  che
determina peraltro non solo una lesione dell'autonomia regionale,  ma
anche conseguenze negative in termini di  buon  andamento  dell'agire
pubblico,  laddove  e'  in  grado  di  impedire   all'amministrazione
pubblica  di  esercitare  i  poteri  gestori  spettanti  al  socio  a
detrimento degli interessi pubblici curati per il tramite del veicolo
societario. 
    Il che determina una lesione degli articoli 3, 97, 117, comma  IV
e 118 Cost. Peraltro tale regime sanzionatorio,  come  gia'  rilevato
nel  precedente  motivo  di  impugnazione,  contraddice  il   disegno
istituzionale della Repubblica italiana che attribuisce pari dignita'
a tutte le compagini territoriali che  la  costituiscono.  Di  fronte
all'inerzia regionale, e' legittimo prevedere un regime  sostitutivo,
non certo un regime sanzionatorio afflittivo  in  grado  di  produrre
effetti  pregiudizievoli   nei   confronti   dei   cittadini   e   in
contraddizione con il buon andamento dell'agire pubblico. Si  ritiene
percio'  che  la  disposizione   impugnata   sia   costituzionalmente
illegittima anche per violazione degli articoli 5 e 114 Cost., in uno
con gli articoli 3 e 97, a cagione  degli  effetti  di  irragionevole
detrimento degli interessi pubblici. 
6) Impugnazione dell'art. 18, lettere a), b), c), e), i),  1)  e  m),
punti da 1 a 7, della legge 7 agosto 2015, n. 124. 
    Si  rileva,  conclusivamente,  che  la  Regione  del  Veneto   ha
impugnato l'art. 18, lettere a), b), c), e), i), 1) e m), punti da  l
a 7, della legge 7 agosto 2015, n. 124, per violazione degli articoli
5, 117, II, III e IV comma, 118 e 119 della Costituzione, nonche' del
principio di leale collaborazione di cui all'art. 120 Cost. 
    In particolare la  lesione  della  competenza  costituzionalmente
riservata alle Regioni in materia di organizzazione regionale ex art.
117, comma IV Cost e la violazione  dei  limiti  consustanziali  alla
materia «tutela della concorrenza»  e  «coordinamento  della  finanza
pubblica», fatti valere nel pendente giudizio  di  costituzionalita',
hanno trovato concretizzazione nelle disposizioni  di  legge  oggetto
della presente impugnazione e adottate in «attuazione»  dei  principi
declinati dalla legge delega. 
    La violazione, poi, del principio di leale collaborazione di  cui
all'art. 120 Cost., fatta valere in relazione alla  previsione  della
legge delega, getta una oscura  ombra  sulle  tutte  le  disposizioni
impugnate  in  questa  sede  e,  in  generale,  sull'intero   decreto
delegato,  il  cui  procedimento  di  formazione   ha   previsto   la
partecipazione  delle  autonomie  territoriali  in  termini  di  mera
consultazione. Cio' ha consentito alle stesse di fornire  un  apporto
collaborativo  parziale   e   insufficiente   in   un   contesto   di
sovrapposizione «materiale» che  invece  esigeva  una  partecipazione
rinforzata che si sarebbe  dovuta  sostanziare  nella  previsione  di
un'intesa intergovernativa, la quale non si  limita  a  prevedere  un
contributo «tecnico» delle autonomie territoriali, ma  invece  impone
che esse e lo Stato svolgano un dialogo paritario e strutturato.  Che
nel caso di specie non e' stato compiuto.